Come è nata l’idea di scrivere “Come la memoria del pesce rosso” e quale è stata la tua principale fonte di ispirazione?
Due spunti principalmente: il primo, raccontare l’emigrazione del sud Italia tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900; la seconda, riportare ai giorni nostri la memoria di ciò che siamo, ossia un popolo di emigranti (sia all’interno del nostro Paese che all’estero) e ricollocare il tema degli immigrati considerati troppo facilmente un “problema”; in questo però il discorso è ampio e merita un’argomentazione più precisa e rispettosa. Aggiungo solamente che bisogna porsi un po’ più spesso nei panni degli altri, come quel testo di Niccolò Fabi, Io sono l’altro: fatti un giro nei miei panni, poi mi dici. In sintesi: se ho un’alternativa, perché dovrei attraversare il mare su un gommone con più possibilità di morire che di sopravvivere?
2. La figura di Massenzio è ricca di sfumature e profondità. Qual è stata la sfida principale nel creare un personaggio così complesso e in evoluzione?
La stessa “sfida” che ogni scrittore si pone di fronte alle sue “creature”: realizzare un personaggio che sia una persona, trasmettere al lettore le sensazioni, le emozioni, l’umanità a tutto tondo; come dire, raccontare una persona, appunto, rendere reale e concreto il personaggio. E comunque, è chiaro che ogni personaggio per diventare persona, essere umano da raccontare, è una sorta di “Frankenstein” che lo scrittore crea: si prendono caratteristiche fisiche e psichiche delle persone che si incontrano, ciò che il mondo attorno offre, e lo si assembla in un personaggio che diventa persona. Poi c’è il lavoro emozionale e psicologico delle parole che lo scrittore sceglie per dare vita alle sue creature. E qui comincia un’altra storia. La sfida, appunto, di rendere reale l’evoluzione (o anche l’involuzione) di ogni personaggio. Per Massenzio è stato relativamente semplice, diversamente che in altri romanzi che sto scrivendo, poiché è bastato lasciar scorrere la speranza insieme alle dita sulla tastiera.
3. Il tema dell’emigrazione e delle radici familiari è centrale nella trama. Come ha approcciato la ricerca e la descrizione della storia di Nicolò Torre, l’emigrante siciliano?
La mia radice paterna è siciliana, di un piccolo paese sulle montagne sopra Messina. La descrizione dei luoghi che vengono riportati nelle prime pagine è quel piccolo paese, quelle figure che da bambino vedevo passare o sostare davanti la porta di case di pietra. Ora non saranno più così, ma i ricordi fisici li ho riportati così come la memoria li ha trattenuti. Per quanto riguarda il tema dell’emigrazione, oltre alcune letture specifiche, ho fatto ricerche su internet ed in particolare avevo a cuore un famoso documento di inizi Novecento, Relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, datato Ottobre 1912. Forse andrebbe fatto leggere nelle scuole: ricontestualizzare l’immigrato come qualcuno che siamo stati anche noi, o per meglio dire, sono stati molti dei nostri parenti lontani.
4. La pandemia e la chiusura sociale sono parte integrante del contesto del libro. Come hai deciso di integrare questo elemento nella trama e quale impatto pensa che abbia sulla storia di Massenzio?
Il romanzo ha una radice pre-pandemia, la scaletta di base e la struttura erano uno studio del 2019; il romanzo invece è stato scritto da marzo 2020, per cui – come spesso accade quando si attraversano eventi così “invadenti” e pervasivi – in qualche modo “modificano” la storia e incidono in maniera importante. In questo caso, ho visto la situazione come una opportunità per il romanzo: così come stava cambiando le nostre abitudini sociali, altrettanto poteva essere il paradigma in cui far muovere le scelte dei personaggi e imporre loro alcuni cambiamenti. Per Massenzio è servito a farlo entrare in discussione con sé stesso, chiuso in casa, a quel punto si è messo a leggere le lettere del nonno. La vita frenetica che si era imposto non glielo avrebbe permesso, le avrebbe lasciate in un cassetto, non si sarebbe dovuto confrontare con Chrjstina, la donna che assiste la madre anziana non avrebbe avuto “l’occasione” di vedere con occhi diversi i suoi “fratellini”.
5. Il confronto tra le rigide norme sociali e le abitudini del “sì, vabbè, però” è evidente nel racconto. Qual è il messaggio che ha voluto trasmettere attraverso questa riflessione sul contesto sociale italiano?
Risposta sintetica: una riflessione sulla capacità dell’essere umano, sicuramente sulla mala abitudine italica, di modellare le regole della comunità alle proprie esigenze. Una roba che davvero mi indispettisce. La semplicità con la quale si continua a soverchiare l’altro per piccoli vantaggi personali è davvero il senso dell’abbrutimento. Poi basta un dramma collettivo e siamo tutti pronti all’ipocrisia per lo stretto tempo necessario. Mah.
6. Le lettere del nonno sono descritte come il “vento che dirada la nebbia di Massenzio”. Qual è il significato simbolico di queste lettere nella trama e nel percorso di sviluppo del protagonista?
La presa di coscienza che sgretola le convinzioni populiste di Massenzio. La coscienza stessa di Massenzio che riprende battiti vitali. In senso più ampio, informiamoci di più e meglio per costruirci opinioni, punti di vista, idee, e per imparare che l’opinione altrui ha un valore, che il dialogo e il dibattito – basandoli su elementi storici e culturali – sono la linfa positiva per una vita sociale sana.
7. Il cambio di prospettiva di Massenzio, da uomo sicuro di sé a scopritore delle sue radici, è un elemento chiave della trama. Come ha gestito questo cambiamento nel personaggio durante il processo di scrittura?
Questo è stato il lavoro più impegnativo, per due motivi. Il primo, trasferire il senso del cambiamento, la temperatura dell’uomo e la sua lotta interiore (è difficile venire a patti con sé stessi ed ammettere sto sbagliando prospettiva); il secondo, usare le giuste pagine, il giusto tempo per dare al lettore la percezione della lentezza che il cambiamento ha nella testa di Massenzio. Quindi, come dire, mi sono imposto molto rigore e molta autocritica, a mia volta, nello scrivere questi passaggi. Ed in questo, come per l’intero romanzo, come tengo ogni volta a sottolineare: nulla sarebbe così curato come appare al lettore senza il lavoro puntuale, metodico e professionale dell’editor che cura ogni mio scritto, Nicola F. Leonzio. Gran persona, eccellente poeta e scrittore, professore di lettere e storia e uomo che sa leggere ben oltre lo status quo.
8. Roma è il principale scenario della storia, mentre la Sicilia rappresenta il passato e la conclusione circolare degli eventi. Qual è il ruolo simbolico di questi luoghi nella narrazione?
In realtà nessuna simbologia. La Sicilia la ho nel cuore, come ho detto prima, e dalla Sicilia partirono in migliaia per gli Stati Uniti. Roma è la mia città, un luogo che vedo imbruttirsi sempre più, tra le vie non incontri quasi più i romani di un tempo: generosi e accoglienti. E questo mi spiace molto. Massenzio è questo tipo di romano, incattivito e imbruttito, che giudica per potere, portafogli, colore della pelle. E idee politiche.
9. Il concetto di “redenzione sociale” è centrale nella storia di Massenzio. Come vede il ruolo di questo tema nel contesto dell’evoluzione del personaggio e nella trama complessiva?
Come una Speranza che il genere umano possa migliorare, possa diventare capace di rispettare l’altro, impari a fare una fila, a dare una mano a chi sta peggio, a fare un sorriso tra le scale del condominio, a essere meno ipocrita e più vero, sincero. Insomma, come scrive quel grandissimo autore che è Stefano Benni: Bisogna assomigliare alle parole che si dicono. Forse non parola per parola, ma insomma ci siamo capiti.
10.La metafora della memoria del pesce rosso è affascinante. Come hai deciso di utilizzare questa immagine per riflettere sulla capacità di dimenticare e superare il passato?
In realtà cercavo la capacità di memoria degli esseri animali e mi sono imbattuto in questa informazione: il pesce rosso ha una capacità di memoria inferiore ad un secondo, motivo per cui riesce a sopravvivere senza impazzire nella classica ampolla sferica; semplicemente non ricorda di essere già passato in un punto, quindi continua a girare in tondo. Ecco, in questa immagine ho raccolto l’incapacità dell’uomo di ricordare il suo passato recente, per cui l’immigrato è mal visto, eppure solo cento anni fa eravamo noi stessi emigranti ed alle stesse condizioni di non accettazione da parte del paese ospitante. Cento anni sono anche meno di un secondo se consideriamo i millenni di storia dell’uomo, una frazione infinitesimale se consideriamo il processo evolutivo del solo pianeta Terra.
11.Infine, quali speranze o messaggi positivi vorrebbe che i lettori traggano dalla lettura di “Come la memoria del pesce rosso”?
Leggere di più, informarsi meglio, non lasciarsi trascinare dai messaggi convenzionali e precostituiti, riscoprire quanto più possibile le proprie radici e guardare ogni altro essere umano come un’opportunità anziché un antagonista.
12.Quali sono i progetti futuri?
Continuare a scrivere, sempre. Come la memoria del pesce rosso è il mio secondo romanzo pubblicato (sempre da Bertoni Editore), intanto scrivo prosa in versi (poesie mi sembra eccessivo) e sto portando avanti due romanzi strutturalmente e sostanzialmente differenti. La prospettiva è di completarne l’editing entro marzo di quest’anno per poi iniziare il processo di pubblicazione. Che dire, incrocio le dita!