martedì, Dicembre 3, 2024
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CON GIADA ALES ALLA SCOPERTA DEL COACHING PER PERSONE AD ALTO POTENZIALE


Come è nata l’idea di lavorare con persone ad alto potenziale cognitivo e plusdotate?

In maniera molto naturale: dopo diversi anni come Coach, ho avuto modo prima di conoscere il tema della plusdotazione grazie all’esperienza diretta di una mia amica che, da mamma, si è confrontata con la scoperta della neurodivergenza dei figli. Successivamente, ho potuto partecipare al primo anno di formazione del Master sulla giftedness e una didattica mirata per alunni sin dalla primaria che, dal 2018, l’Università Lumsa promuove con successo.

Cosa intende con “connettersi con i propri talenti”. Come si aiutano le persone a scoprire e valorizzare le proprie qualità uniche?

Uno degli effetti del non riconoscere la neurodivergenza della plusdotazione è quello, sin da piccoli, di non credere alle proprie capacità. Tutti noi abbiamo la naturale esigenza di essere sostenuti dal gruppo di pari e dagli adulti di riferimento, per questo diviene più facile mettere in discussione i propri talenti piuttosto che il sistema. Gli aiuti possono essere molteplici, anche rispetto all’età della persona. Per bambini e ragazzi, una cosa fondamentale è la formazione dei docenti e delle famiglie. Oggi, in Italia, abbiamo una nota del MIUR del 2019 che inserisce gli alunni plusdotati tra i BES, e lascia alla discrezione delle scuole la progettazione di interventi mirati. Ma se chi insegna non ha tutti gli strumenti per riconoscere le caratteristiche dei ragazzi e delle ragazze gifted e le sfumature emotive che incidono profondamente nei loro comportamenti, diviene effettivamente difficile creare un progetto didattico mirato ed efficace. 

Per le famiglie, serve altrettanto un supporto che sia intento di formazione: capire perchè il proprio figlio o figlia si comporta così, come riuscire ad essere davvero un sostegno quotidiano, come gestire le crisi emotive e le tante rigidità, ad esempio, scatenate da un percepito di ingiustizia che però non sempre è così banale o semplice da comprendere.

In un mondo dove spesso si tende a etichettare, come si può mantenere l’autenticità e il rispetto per la singolarità di ognuno?

Partendo dal rispetto e dall’autenticità di noi stessi. Una cosa che sento spesso, quando mi scrivono o incontro adulti che si sospettano gifted, è il timore di fare una valutazione psicologica. Si ha paura di sapere, di avere una risposta anche negativa, perché magari si è vissuto il proprio essere neuro diversi come qualcosa di poco accettato. Ecco allora che, secondo me, dedicarsi del tempo per andare fino in fondo è un atto di grande rispetto di sé stessi, di amore e di riconoscimento. E per chi è genitore, diviene anche un bellissimo esempio da trasmettere in famiglia.

Come descriverebbe il processo di cambiamento che le persone attraversano quando iniziano a prendere coscienza delle proprie capacità e potenzialità?

Complesso, sicuramente. Si parte dal non crederci, quasi dallo sperare che non sia vero. E, specie dopo una valutazione, dallo sperimentare tutta una gamma di emozioni spesso molto forti. A volte la rabbia per una vita vissuta seguendo linee decisionali non condivise ma scelte per convenzione, per comodità, come lavori che non rispecchiano il proprio modo di essere, che non permettono ad una creatività potente di esprimersi. E poi, piano piano, specie se ci si fa accompagnare da specialisti preparati, si comincia a prendere confidenza con sé stessi, con ciò che si è. Si fanno scelte nuove, si riprendono in mano sogni lasciati da parte per anni, o si cambia proprio strada, del tutto. Quando si raggiunge un nuovo equilibrio, alla fine si riesce ad essere per la prima volta davvero soddisfatti di sé, e si è in grado di viaggiare potendo scegliere la propria velocità, la destinazione migliore, seguendo ciò che si è e non ciò che si deve essere.

Quali sono le sfide più comuni che incontra nel lavorare con persone plusdotate e come  affronta il percorso di accompagnamento?

Gli adulti gifted (valutati o in fase di valutazione) sono spesso alla ricerca di confronto e di accettazione: sentono il bisogno di avere qualcuno che li capisca profondamente, a cui non serve spiegare il perché delle loro azioni ma anche qualcuno che decodifichi con struttura il loro modo di essere. Ci sono persone che scoprono per la prima volta cosa significa pensiero arborescente o ipereccitabilità sensoriale o emotiva, ad esempio. E magari iniziano a capire il motivo della loro difficoltà a dormire.

Altra sfida è quella legata al riconoscersi “giusti”: l’autostima di un adulto gifted può essere molto fragile, e nel tempo portarlo a fare scelte personali e professionali anche al ribasso. Pensarsi sempre come quello o quella che non capisce davvero le cose senza sapere, ad esempio, che una delle caratteristiche di molti gifted è la difficoltà a comprendere i sottointesi in un dialogo, stando prevalentemente sulla comprensione letterale. Accompagnata dall’idea, sbagliatissima, che essere intelligenti significa eccellere in tutto, avere una vita di gran successo e soprattutto non fallire mai.

Da tutto questo nasce il modo di sostenere i miei clienti nei percorsi che scelgono: partendo dall’accoglienza, mi occupo di ascoltare e restituire ciò che mi arriva e di cui l’altro in quel momento non ha consapevolezza piena, ma anche sfidando a fare quel passo un po’ più in là, verso una nuova azione e quindi verso nuovi effetti nella propria vita.

Può spiegare come si struttura una strategia personalizzata per ogni singolo individuo?

Dopo un primo breve incontro conoscitivo, nel quale raccolgo le esigenze della persona, se posso essere effettivamente di aiuto si decide insieme se iniziare o meno a lavorare insieme. Ogni mio percorso ha una durata piuttosto breve (tra i due e i sei mesi) e si basa sia sul coaching che sul mentoring. Soprattutto a quest’ultimo tengo molto perchè la metodologia formativa del mentoring unisce al tradizionale approccio formativo del “sapere da applicare”, la formazione esperienziale, proiettata a sviluppare le capacità, o “comportamenti da attuare”, dell’altro, attraverso una condivisione di contenuti e riflessioni.

In questi anni ho sperimentato professioni e relazioni con un prima e un dopo la mia valutazione. E, prima, avrei davvero tratto giovamento da un supporto che mi restituisse un’esperienza diretta, a mia misura. Per questo motivo, in ogni mio percorso c’è sempre qualcosa di me che metto al servizio del progresso dell’altro. Ed è quell’elemento che i miei clienti trovano molto utile, stando ai loro preziosi feedback!

Quali sono i segnali che fanno capire che una persona è pronta per un cambiamento radicale nel modo in cui vive o affronta le sue sfide?

Il primo, la volontà. Non cambi se non vuoi. Sembra una frase banale ma ha un grande fondo di verità. Sul perché poi una persona non vuole (o non riesce ancora) a cambiare ci possono essere mille motivazioni, tutte valide e reali che, se si vuole, si possono indagare ad esempio in terapia.

E poi, il coraggio. Per volere un cambiamento serve, a volte, molto coraggio. Proprio per le motivazioni di cui ho parlato prima.

Quando si sta troppo male nella propria vita, quando si raggiunge un momento in cui o cambia…o cambia, allora si è pronti per iniziare intanto a cercare una soluzione. Da lì, si inizia a capire cosa va bene per sé stesso, cosa serve e chi può aiutarci. E da quel momento in poi serve la costanza: avere ben chiaro in mente il proprio obiettivo e continuare ad agire per raggiungerlo.

Bisogna osservare molto le differenze negli stili e nelle motivazioni delle persone. Come questa osservazione aiuta a creare percorsi di crescita personalizzati?

Credo molto nell’ascolto e nell’osservazione attenta e partecipativa dell’altro. Nella comunicazione umana, molto peso hanno i gesti, i micromovimenti ma anche il tono di voce, persino lo spazio che si vuole occupare in una stanza. Senza la comprensione di tutti questi fattori della comunicazione non verbale, ciò che ascoltiamo è sempre e solo una parte, a volte molto superficiale, che l’altro decide di mostrarci. Spesso inconsapevolmente. E alla base di queste scelte – o non scelte – ci sono motivazioni profonde e radicate, che determinano ciò che una persona fa o non fa nella sua quotidianità.

Per questo l’ascolto attivo, nel coaching, è essenziale, perché il coach è quel professionista “che si concentra su ciò che il cliente dice e non dice per comprendere pienamente ciò che viene comunicato nel contesto dei sistemi del cliente e per supportare l’auto-espressione del cliente.” (fonte ICF Italia).

La plusdotazione può spesso essere accompagnata da difficoltà, come l’ansia o il sentirsi incompresi. Quali strategie possono aiutare le persone a superare questi ostacoli?

Quando alcuni aspetti convivono con la plusdotazione, come l’ansia, va sempre indagata la profondità del loro effetto nella vita della persona. L’ansia non è una fantasia, può davvero generare eventi di grande impatto sulla quotidianità. Quando accade, ciò che io consiglio è sempre di valutare una terapia psicologica, per iniziare a cercare le cause dove davvero sono. E il coaching, in quanto tale, non ha questo focus.

Diverso invece quando ci si sente inadeguati o incompresi: spesso sono percezioni legate all’autostima e alla sindrome dell’impostore, che porta la persona a vedersi sempre non in grado, non adeguata, non giusta rispetto a standard che percepisce reali, anche se a volte sono autoimposti.

Ci sono persone che sono dei grandissimi professionisti ma che, di fronte ad un impasse momentaneo durante un briefing, deducono immediatamente di essere un errore, un bluff vero e proprio. Si dicono: ho studiato, ero convinto di sapere e invece no. Sono un fallimento, perché mi sono bloccato. Quando capitano eventi simili, si può, ad esempio, iniziare a rivedere come si studia perché ognuno di noi ha una modalità che facilita l’apprendimento. Se ci forziamo a seguirne altre, rischiamo di sovraccaricare il compito, con il risultato di affaticarci troppo.

Diviene quindi importante osservare cosa si fa per raggiungere un obiettivo e come le nostre azioni ci sono di aiuto o meno, e iniziare a valutare cosa migliorare ma anche cosa togliere, fino a giungere alla definizione di un piano di azione nuovo. Che non è detto sia quello definitivo, ma sicuramente nello sperimentarlo ci darà nuove informazioni su cui poter costruire il passo successivo. Così si arriva a qualcosa che funzioni davvero per noi, e solo per noi: il famoso vestito su misura che, indossato ogni giorno, ci rafforza nella percezione di noi stessi e delle nostre capacità.

Può raccontarci degli esempi concreti di trasformazione individuale?

Sì volentieri.

Di F. ho parlato anche nella mia newsletter: lavorava in azienda da anni e aveva costruito una carriera di successo. In generale, si sentiva soddisfatta. Dopo la valutazione di sua figlia, ha iniziato a conoscere il tema della plusdotazione, dettaglio su dettaglio. E mano mano ritrovava aspetti di sé simili a quelli della bambina. Tanto da decidere di essere valutata lei stessa. Scoprire di essere gifted è stato un misto di sollievo e preoccupazione, dapprima chiedendosi cosa fare e, subito dopo, lanciandosi nel progetto di iscriversi a psicologia, come avrebbe voluto fare dopo il liceo invece di scegliere, su consiglio della famiglia, giurisprudenza

Durante il nostro percorso insieme, F. ha affrontato molte altre sfide oltre all’obiettivo iniziale. Ha esplorato i suoi sentimenti riguardo al definirsi gifted e quanto spesso dichiararsi tale anche con gli altri la mettesse a disagio. Ha cominciato a vedere la possibilità di esprimersi diversamente nel suo lavoro, emergendo da un ruolo di supporto che, nel tempo, aveva assunto quasi inconsapevolmente. E si è chiesta quanto fosse realmente interessata a formarsi come psicologa, comprendendo alla fine che si trattava solo di un tentativo di riscatto rispetto a un passato ormai alle spalle.

Alla fine, ha scelto di non cambiare lavoro né di intraprendere studi universitari, ma ha sviluppato una strategia personale per migliorare il suo contributo professionale all’interno dell’azienda. Ha sostituito le azioni di mascheramento ed evitamento con una maggiore presenza e condivisione, modificando soprattutto quei comportamenti che spesso la mettevano in cattiva luce. Ad esempio, squalificandosi quando proponeva un’idea, o tentava di essere parte di una discussione durante una riunione, dava sempre la sensazione di essere poco sicura o, peggio, poco preparata. Quando ha iniziato a modificare le formule per i suoi interventi, ha ricevuto molti più apprezzamenti e richieste di confronto da parte dei colleghi.

Quali emozioni si provano nel vedere una persona raggiungere una nuova consapevolezza delle proprie capacità e mettere in atto nuovi comportamenti?

Un’immensa felicità e tanta soddisfazione. Quel momento ripaga di tutto. È ciò che sta alla base di quello che faccio: vedere l’altro iniziare a stare bene con sé stesso, dare il via ad una nuova vita, vederlo finalmente consapevole di avere il potere di fare scelte diverse, senza più i condizionamenti del passato. E sapere che, nel futuro, avrà strumenti nuovi per gestire altre sfide.

Ci sono sessioni che, appena finite, mi restituiscono un’energia bellissima, e di questo sarò sempre grata ai miei clienti perché l’origine sono sempre loro

Quali consigli darebbe a chi è ad alto potenziale cognitivo ma fatica a trovare un equilibrio tra le proprie capacità e la realizzazione personale?

Se lo si sta facendo, la prima cosa è smetterla di piangersi addosso o di lamentarsi. Sono sincera: molte persone gifted finiscono per nascondersi dietro una lamentela costante, di fatto bloccando la propria vita. Ma alla lamentela bisogna saper dare uno spazio definito, altrimenti prende il sopravvento e diviene un modo di essere: quindi, quanto riuscireste a sopportare una persona che si lamenta costantemente con voi? Ecco, quella è la misura del tempo che potete concedervi.

Non tutti siamo determinati di natura, ma in ogni caso anche chi lo è sa che la determinazione va allenata. E se si sta male in un posto, fisico o metaforico che sia, si ha il dovere verso sé stessi di trovare il modo per andarsene. O, quando non possibile, per imparare a starci al meglio delle nostre capacità. Se non lo si fa, significa che ci fa più pensiero il cambiamento che lo stare male. E va indagata questa motivazione, in primis.

Da qui, serve la ricerca: c’è qualche testo che mi può introdurre il tema? Ci sono siti, associazioni che ne parlano? Molti profili social sono delle fonti preziose, perché sono di persone che vivono in prima linea il tema, e ne parlano anche a livello personale.

Quando poi si ha un po’ più di chiarezza, si può iniziare a cercare un professionista che ci aiuti da dove non riusciamo più da soli. E anche lì, ricerca e feedback sono essenziali.

Come si può prendere consapevolezza di essere una persona dotata di una plusdotazione?

Molti adulti lo iniziano a sospettare quando iniziano il percorso valutativo dei figli. Si ritrovano in quello che gli viene restituito del funzionamento gifted e molti decidono di indagare anche per sé stessi.

Per altri, molto fa il senso di straniamento che sentono nelle relazioni sociali e professionali: quell’essere sempre un po’ fuori schema, fuori sincrono con gli altri. Quando si arriva a sentire disagio, alcuni cercano risposte e arrivano magari alla terapia.

In ogni caso, l’unico modo concreto per sapere di essere gifted è la valutazione cognitiva. Il  test (WAIS, per gli adulti) ci restituisce le nostre aree di eccellenza ma anche quelle in cui facciamo più fatica e ci dice i perché in entrambi i casi. Da quel momento in poi, non c’è più spazio per i forse o per i giudizi: siamo fatti così, siamo questo. Possiamo scegliere di migliorare e come vogliamo farlo. E possiamo davvero iniziare ad usare i nostri punti di forza per sostenerci dove cadiamo un po’. Io lo trovo estremamente liberatorio!

Dove è possibile seguire il suo lavoro sui social e sul web?

Sul mio sito (www.giadaales.com) c’è lamia storia e poi tutte le informazioni sui miei percorsi, ma anche un blog che è collegato alla mia newsletter, Lumina.

Sui social è possibile seguirmi qui: LinkedInInstagramFacebook

E poi c’è il podcast Conversazioni Neurodivergenti, che ho co-creato con Alessandra Marconato, ascoltabile su Spotify. 

Dove è possibile contattarla per una collaborazione?

Oltre a tutti i canali Social, sul mio sito si trova il calendario per prenotare un meeting gratuito. In alternativa, è possibile sempre scrivermi per mail: info@giadaales.com

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